LA VIOLENZA VERBALE NON HA GENERE, ANCHE GLI UOMINI POSSONO ESSERE VITTIME. CASS. N. 14848/2025

25.04.2025
disclaimer: l'immagine è puramente illustrativa
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A CURA DELL'AVV.MICHELEALFREDO CHIARIELLO

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INDICE

1) INTRODUZIONE;

2) IL FATTO;

3) LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE;

4) CARNEFICE NONOSTANTE UN DISAGIO PSICHICO;

5) UNA SENTENZA, UN SEGNALE: LA VIOLENZA NON HA GENERE.-

📌 Nota dell'autore
Questo articolo non intende in alcun modo sminuire la gravità della violenza sulle donne, che continua a rappresentare una delle più drammatiche emergenze sociali del nostro tempo. L'obiettivo della riflessione che segue è diverso, ma complementare: accendere i riflettori su un fenomeno distinto, spesso sommerso, e non per questo meno degno di attenzione. Parliamo della violenza — anche solo verbale — esercitata contro gli uomini, come nel caso affrontato dalla sentenza oggetto di commento.-

Hai fretta? Andiamo dritti al sodo

🔍 Riconoscimento della violenza verbale sugli uomini
La sentenza n. 14848/2025 della Corte di Cassazione sottolinea che la violenza domestica non è esclusiva delle donne: anche gli uomini possono esserne vittime, specialmente quando si tratta di abusi verbali e psicologici sistematici.​

⚖️ Ribaltamento della sentenza d'appello
Inizialmente, la Corte d'Appello aveva assolto la donna imputata, attribuendo le sue azioni a un disagio psichico. Tuttavia, la Cassazione ha annullato questa decisione, affermando che la reiterazione consapevole di ingiurie e minacce costituisce reato ai sensi dell'art. 572 c.p., indipendentemente dalla condizione mentale dell'autrice.​

🧠 Disagio psichico non esclude la responsabilità
La Corte ha chiarito che un disturbo mentale non esonera automaticamente dalla responsabilità penale, soprattutto se l'autore è in grado di comprendere la natura e le conseguenze delle proprie azioni.​

📣 Violenza senza genere
La sentenza rappresenta un passo importante nel riconoscere che la violenza domestica può colpire chiunque, indipendentemente dal genere. È un invito a superare gli stereotipi e a garantire protezione a tutte le vittime.

1. INTRODUZIONE

La violenza domestica può colpire anche gli uomini. È una verità scomoda, spesso taciuta, ma oggi ribadita con forza dalla Cassazione nella sentenza n. 14848/2025.- Con questa pronuncia, la Suprema Corte non solo annulla un'assoluzione controversa, ma riafferma un principio fondamentale: la violenza non ha genere, ha una condotta.-

L'introduzione del reato autonomo di femminicidio, inteso come omicidio aggravato da motivi di genere, rappresenta un progresso normativo importante nella lotta contro la violenza sulle donne. È un riconoscimento della specificità di una piaga sociale strutturale, radicata in dinamiche culturali, patriarcali e di controllo.-

Tuttavia, l'enfasi — giustamente posta — su questo fenomeno non dovrebbe oscurare l'esistenza di condotte violente, psicologiche o verbali, anche nei confronti degli uomini; sebbene statisticamente meno frequenti, tali episodi meritano attenzione e analisi, soprattutto quando, come nella vicenda trattata, si traducono in vere e proprie forme di abuso o prevaricazione emotiva.-

2. IL FATTO

Protagonista della vicenda è un uomo, marito e padre, vittima di una lunga e dolorosa spirale di violenza domestica, consumata tra le mura di casa per mano della moglie. Non si trattava di episodi isolati, né di banali conflitti coniugali, ma di una vera e propria campagna sistematica di umiliazioni, offese, denigrazioni e vessazioni, culminata in un abuso psicologico reiterato, spesso anche in presenza del figlio minore.-

L'autrice delle condotte era affetta da un disturbo psichico conclamato, ma non per questo non imputabile.-

3. LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

Nel 2022 il Tribunale di Roma aveva condannato la donna a 2 anni e 6 mesi di reclusione per maltrattamenti ex art. 572 c.p., riconoscendo un quadro costante di insulti, minacce e umiliazioni rivolti al marito, dentro le mura domestiche e davanti al figlio.-

Nel 2024, però, la Corte d'Appello di Roma ribaltava tutto, assolvendo l'imputata con la motivazione che le offese non avessero rilevanza penale, e attribuendo l'intera dinamica alla condizione psicologica della donna. La fragilità mentale, secondo i giudici d'appello, giustificava le sue reazioni e imponeva al coniuge un atteggiamento di comprensione.-

La vittima diventava, così, corresponsabile: un rovesciamento inquietante, antigiuridico, e profondamente ingiusto.-

La Cassazione, però, ha ripristinato la condanna, ribadendo che anche l'uso costante di parole denigratorie, minacciose, offensive, soprattutto in ambito domestico e alla presenza di minori, può generare un ambiente familiare tossico e gravemente lesivo della dignità personale e può integrare condotte rilevanti ai fini dell'art. 572 c.p. — maltrattamenti contro familiari e conviventi — quando assume carattere sistematico, reiterato, e produce un effetto intimidatorio, mortificante o destabilizzante sulla vittima.-

4. CARNEFICICE NONOSTANTE UN DISAGIO PSICHICO

La Corte d'Appello aveva tentato di giustificare le condotte dell'imputata alla luce del suo disagio mentale, descrivendole più come espressione di sofferenza che come atti volontari. Ma la Cassazione chiarisce un punto fondamentale: la malattia psichica non cancella automaticamente la volontarietà delle condotte, né i loro effetti devastanti sulla vittima.-

Secondo la Suprema Corte, la reiterazione consapevole di ingiurie, pressioni, grida e svalutazioni — anche in presenza del figlio — integra pienamente il reato di maltrattamenti in famiglia. E, soprattutto, dimostra che la donna era perfettamente in grado di comprendere la natura delle proprie azioni e le loro conseguenze.-

5. UNA SENTENZA, UN SEGNALE: LA VIOLENZA NON HA GENERE

La violenza verbale all'interno della coppia rappresenta una delle forme più insidiose di abuso relazionale, proprio perché spesso non lascia segni visibili, ma può compromettere profondamente l'equilibrio psicologico e l'identità dell'altro.-

Quando ad esercitarla è la donna, si entra in un territorio insidioso, quasi che il genere femminile, storicamente associato alla fragilità, non possa essere anche portatore di aggressività.-

Sul piano sociale, infatti, permane una certa reticenza nell'ammettere che la donna possa essere carnefice, soprattutto quando l'abuso non è fisico ma emotivo. La figura dell'uomo maltrattato verbalmente è spesso circondata da ironia o incredulità, come se la sua virilità dovesse renderlo impermeabile al dolore psicologico.-

Ma il diritto, per essere giusto, deve riconoscere i fatti nella loro concretezza, senza piegarsi a rappresentazioni stereotipate.-

Per l'appunto, dietro la sentenza in commento si intravede una battaglia più grande, culturale prima ancora che giuridica. È il rifiuto di un vocabolario della violenza domestica declinato solo al femminile: Anche gli uomini possono essere oggetto di violenza.-

Un invito al coraggio
Che sia uomo o donna, chi subisce violenza ha diritto di parlare, di essere creduto, di essere protetto. L'equità della giustizia si misura anche nella sua capacità di riconoscere chi soffre, al di là dei ruoli, dei cliché, delle statistiche. Non abbiate timore di chiedere aiuto. Non è debolezza. È la prima forma di resistenza.-

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