E’ ILLEGITTIMA L’ESCLUSIONE DELLA CANDIDATA MOTIVATATA CON LO STATO DI GRAVIDANZA. COMMENTO ALLA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO 8578/2021
A cura dell'Avv. Laura Buzzerio
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INDICE
1) LA QUESTIONE;
2) LA PRONUNCIA DI PRIMO GRADO;
3) IL QUADRO NORMATIVO;
4) LA DECISIONE DEL CONSIGLIO DI STATO.-
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LA QUESTIONE
Una donna impugnava il provvedimento di esclusione - dalla procedura di reclutamento dei candidati "idonei non vincitori" dei concorsi per allievi finanzieri indetti negli anni 2010 - 2011 e 2012 per un numero di posti pari a 400 unità, nonché della successiva determinazione di approvazione della graduatoria finale - perchè in stato di gravidanza.-
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LA QUESTIONE
In primo grado, l'adito Tar accoglieva il ricorso, annullando il provvedimento di esclusione, unitamente alla norma del bando che disponeva l'esclusione dal concorso nei confronti delle candidate in stato di gravidanza.-
Il Giudice di primo grado rilevava, in particolare, come la previsione del bando determinasse, in contrasto con i precetti costituzionali e comunitari un'inammissibile disparità di trattamento nei confronti di una concorrente che vede così pregiudicata la sua maternità.-
Avverso questa sentenza, il Ministero dell'Economia e delle Finanze proponeva appello avanti il Consiglio di Stato.-
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IL QUADRO NORMATIVO
Sul piano sovranazionale,
- L'art 11 della Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (del 1979, ratificata in Italia nel 1985, con la legge 132/1985) sancisce "Gli Stati parte si impegnano a prendere ogni misura adeguata al fine di eliminare la discriminazione nei confronti della donna nel campo dell'impiego ed assicurare, sulla base della parità tra uomo e donna, gli stessi diritti", e "per prevenire la discriminazione nei confronti delle donne a causa del loro matrimonio o della loro maternità e garantire il loro diritto effettivo al lavoro, gli Stati parte si impegnano a prendere misure appropriate";
- L'art 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea dispone che "La parità fra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione", mentre
- L'art 157 (ex art 141 del TCE) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea prevede, al comma 1, che "Ciascuno Stato membro assicura l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore" e, al comma 3, che "Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adottano misure che assicurino l'applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio della parità delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore";
- La direttiva 76/207/CEE del Consiglio del 9 febbraio 1976, nonché la più recente direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006 precisa che "Ai fini della presente direttiva, la discriminazione comprende: (...)qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva 92/85/CEE" [...] "è vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene alle condizioni di accesso all'occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione [...] infine "Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia risulta chiaramente che qualsiasi trattamento sfavorevole nei confronti della donna in relazione alla gravidanza o alla maternità costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso. Pertanto, occorre includere esplicitamente tale trattamento nella presente direttiva";
- La Corte di Giustizia Europea aveva qualificato come discriminatorio il rifiuto di assumere una donna a causa del suo stato di gravidanza quanto il licenziamento di una lavoratrice per la medesima ragione (sent. 8 novembre 1990, Dekker, C-177/88 e Handels- og Kontorfunktionaerernes Forbund, C-179/88; sent. del 4 ottobre 2001, Jiménez Melgar, C-438/99 e Tele Danmark A/S, C-109/00, sent. 30 giugno 1998, Brown, C-394/96)
Sul piano nazionale:
- gli artt. 3, 4, 31,37 e 51 della Costituzione;
- L'art. 1, comma 2, d.lgs 11 aprile 2006, n. 198, "c.d. Codice delle pari opportunità tra uomo e donna", statuisce che «la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione";
I principi sottesi al quadro normativo sopra richiamato, sono stati puntualizzati e ribaditi dalla Corte costituzionale, la quale ha sancito che "il principio posto dall'art. 37 - collegato al principio di uguaglianza - impone alla legge di impedire che possano, dalla maternità e dagli impegni connessi alla cura del bambino, derivare conseguenze negative e discriminatorie. Entrambe queste esigenze impongono, per lo stato di gravidanza e puerperio, di adottare misure legislative dirette non soltanto alla conservazione dell'impiego, ma anche ad evitare che nel relativo periodo di tempo intervengano, in relazione al rapporto di lavoro, comportamenti che possano turbare ingiustificatamente la condizione della donna ed alterare il suo equilibrio psico-fisico, con serie ripercussioni sulla gestazione o, successivamente, sullo sviluppo del bambino" (sentenza n.61 del 1991; cfr. anche 12 settembre 1995 n. 423, la quale ha precisato che "il rilievo costituzionale del valore rappresentato dal ruolo di madre della lavoratrice comporta che, nel rapporto di lavoro, non possono frapporsi né ostacoli, né remore, alla gravidanza e alla cura del bambino nel periodo di puerperio").-
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LA DECISIONE DEL CONSIGLIO DI STATO
Se la tutela della situazione soggettiva di una candidata in stato di gravidanza non può ragionevolmente costituire e determinare un pregiudizio per la posizione giuridica soggettiva degli altri candidati e dell'interesse dell'Amministrazione a definire la procedura selettiva entro termini ragionevolmente contenuti al fine di colmare le vacanze organiche (art. 97 Cost.)
tuttavia
tale circostanza non è idonea a giustificare il sacrificio definitivo della prima mediante l'esclusione dal concorso, ma impone il giusto bilanciamento dei contrapposti interessi, in quanto espressione di diritti aventi pari dignità costituzionale.-
Infatti, l'esclusione della candidata in stato di gravidanza contrasta frontalmente sia con il quadro normativo di riferimento che con i principi elaborati sul punto dalla giurisprudenza, entrambi volti ad evitare ogni forma di discriminazione fondata sul sesso e a garantire la parità di trattamento tra uomo e donna anche con riferimento all'accesso al lavoro.-
L'impianto normativo, sia nazionale che sovranazionale, è univoco nell'escludere che lo stato di gravidanza possa rappresentare un ostacolo nell'accesso al lavoro o fonte di discriminazione nell'ambito del rapporto lavorativo. Per tale ragione, il DM 17/05/2000, n. 155 (Regolamento recante norme per l'accertamento dell'idoneità al servizio nella Guardia di finanza) non può che essere letto alla luce delle coordinate sopra richiamate, in quanto volto a garantire l'uguaglianza sostanziale dei candidati che aspirano all'arruolamento in Guardia di Finanza e ad evitare che la gravidanza, di per sé, possa costituire una causa di esclusione dal concorso, e, quindi, fonte di una discriminazione diretta fondata sul sesso, la cui eliminazione si impone come un obiettivo multilivello.-
L'uguaglianza sostanziale tra i candidati, senza distinzione di genere, sarebbe frustrata, in via definitiv,a se lo stato di gravidanza si trasformasse da impedimento temporaneo all'accertamento a causa definitiva di esclusione. -
La situazione della candidata in gravidanza al momento dell'accertamento non è assimilabile a quella di chi versa nel medesimo momento in condizioni di infermità, per la considerazione che la gravidanza è una situazione peculiare del sesso femminile, ad evoluzione fisiologica predeterminata e, in linea di massima, prevedibile, mentre l'infermità è una condizione comune a entrambi i sessi, la cui durata è, sul piano prognostico, non predeterminabile.-
Sul punto si segnala anche Tar Lazio, sez. II ter, sentenza 11 gennaio 2017, n. 444, per cui "Lo stato di gravidanza non può essere considerato come una causa di inidoneità psico-fisica della donna al suo eventuale reclutamento nel Corpo della Guardia di Finanza, piuttosto qualificandosi alla stregua di causa idonea a esonerare l'interessata dal sottoporsi temporaneamente al relativo accertamento.".-
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