“Dare dello “Strunx” al datore di lavoro, in una chat privata, non giustifica il licenziamento Il tenore è canzonatorio, ma non diffamatorio”.- Commento alla sentenza n. 237/2018 del Tribunale di Parma Sez. Lavoro
A cura dell'Avv. MicheleAlfredo Chiariello
TAGS: CHAT PRIVATA - TENORE CANZONATORIO - DATORE DI LAVORO - NO LICENZIAMENTO
INDICE
1)INTRODUZIONE;
2) LA SENTENZA IN COMMENTO;
3) CONCLUSIONI.-
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INTRODUZIONE
Una lavoratrice veniva licenziata per aver proferito - in non meglio specificate conversazioni whatsapp - "pesanti offese personali[1]" nei confronti del legale rappresentante della società datrice di lavoro, idonee a lederne l'immagine professionale e personale, nonché minacce di sabotaggio aziendale, secondo quanto si leggeva nella lettera di contestazione, nella quale, tuttavia, le asserite offese non venivano espressamente ritrascritte, ma solo genericamente riassunte[2].-
Avverso questo licenziamento, la dipendente promuoveva impugnativa.-
[2]
LA SENTENZA IN COMMENTO
Per il Tribunale[3] parmigiano non è possibile individuare un intento diffamatorio della lavoratrice, perché:
- la chat in questione era un luogo dove i partecipanti, tutti colleghi (colleghe) parlavano di quello che succedeva sul lavoro e si sfogavano reciprocamente, esprimendo commenti negativi sul datore di lavoro e lamentandosi delle condizioni di lavoro;
- tali commenti, indubbiamente espressi con toni piccati, che manifestavano l'astio e la scarsa stima nei confronti del datore di lavoro, sono riconducibili al diritto di critica tutelato dall'art. 21 della Costituzione;
- l'unica espressione di vero e proprio insulto usata dalla ricorrente era "strunx", che però, riportata in questa forma lessicale differente da quella corretta, sembra avere più una natura canzonatoria che offensiva;
- dalla lettura delle conversazioni suddette, intervallate da emoticon di vario genere e da battute di tipo umoristico, non è possibile comprendere se le frasi fossero vere o enfatizzate, proprio in ragione del contesto deformalizzato e amicale della conversazione;
- tali conversazioni erano avvenute in una chat ad accesso limitato, considerata riservata dai membri della stessa, in quanto tra le colleghe di lavoro c'era l'intesa non espressa che tali conversazioni whatsapp sarebbero dovute rimanere riservate";
[3]
CONCLUSIONI
Ad avviso del Giudice, alla luce delle considerazioni sopra esposte, le espressioni utilizzate dalla ricorrente, nelle conversazioni whatsapp esaminate, non possono ritenersi diffamatorie, non solo per il contenuto canzonatorio, ma anche perché diffuse in una chat privata, con accesso limitato, secondo l'insegnamento della Corte di Cassazione, ordinanza 10.09.2018 n. 21965.-
[1] Qui, con la precisazione sub nota n.2, di seguito riportate: "se tutte un giorno poi non ci presentiamo voglio vedere che fa poi", "Lo denuncio pure", "Sempre più schifata sono", "È strunx", "Un marito così mi sarei già impiccata" "Magari lo mandiamo tutti a fanculo e poi voglio vedere", "Se è così spero che a lui e alla moglie gli venga un brutto quarto d'ora", "Questo è mobbing".-
[2] Curiosamente, le stesse non venivano riportate neanche nella comparsa di costituzione in giudizio.-
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